Effetto Manon

L’Histoire de Manon è una cartina al tornasole. Ogni volta che si torna a vedere questo dance drama di Kenneth MacMillan, il brivido scorre solo e se l’anima degli interpreti vibra nella linea coreografica. Dal 1994, primo anno in cui il balletto è stato portato alla Scala con una emozionante Alessandra Ferri in coppia con Julio Bocca (sopra nella foto), non ho perso una ripresa. L’ho amato negli anni sempre con Ferri insieme a un Bolle nel candore della gioventù, nella coppia Massimo Murru-Sylvie Guillem, nella partnership Osipova-Coviello… 

Ferri lo danzò da giovanissima a Londra, lavorando con lo stesso MacMillan. Ci disse in quel lontano 1994 ricordando la sua prima Manon ballata a 19 anni: «A quel tempo il mio massimo desiderio era danzare Giulietta. MacMillan era un coreografo che svelava i suoi personaggi in poche frasi. Un giorno mi guardò e mi disse che voleva vedermi danzare Manon. Io ribattei che non capivo quel personaggio. E lui mi disse: “appunto per questo lo devi fare. Manon è una ragazza che si butta nella vita senza pensarci due volte“. Fu un successo. 

Un balletto che quanto vuole una Manon dentro nel ruolo, dalla frivolezza alla tragedia, esige un Des Grieux altrettanto in parte. Per questo bisogna sempre tornare a riguardarsi il primo Des Grieux di Anthony Dowell. Quella sua prima dichiarazione d’amore nel primo atto, danzata sulla diagonale, variazione difficilissima, in cui però ciò che fa la differenza è il legato più che il singolo passo, il legato che attraverso la coreografia comunica il sentimento. Un ripasso visivo da youtube rende l’effetto: 

Su Manon in youtube si trova di tutto: qualità di ripresa molto variabile, ma che bellezza rivedersi i passi a due finali tra Bolle e Ferri, tra Guillem e Murru, o l’arrivo in Louisiana di Coviello-Osipova. Cercate e troverete tutto. Nel documentario già citato su Kenneth MacMillan di cui ho dato il link in un precedente post, ripreso divinamente c’è il passo a due finale tra Guillem e Cope accompagnato dalle parole di Alessandra Ferri: da manuale!

Dell’attuale ripresa scaligera, aperta dalle due star Bolle e Zakharova, ci è piaciuta la coppia Nicoletta Manni – Timofej Andrjashenko e non solo loro. Nicoletta è entrata nel ruolo con molta partecipazione, bella la sua entrata con lo sguardo abbassato e il lavorio di caviglie sulla musica del Crepuscolo, abbandonata e volubile nei passi a due in camera da letto, drammatica nell’ultimo atto. Non era la sua prima Manon, mentre per Timofej era il primo Des Grieux. Una partnership in un titolo da ripetere, si spera molte altre volte, in cui è palpabile l’alchimia tra i due, sotto ripresi in uno scatto alla Scala. 

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Con loro un fantastico Lescaut in carne e ossa, perfido, violento, ambiguo, amorale, grazie all’interpretazione smagliante nella tecnica e attorale nell’interpretazione di Christian Fagetti. Il passo a tre nella camera da letto del primo atto (immagine sotto) con Fagetti, Manni e Mick Zeni, perfetto nella parte di Monsieur G.M. dà la misura di cosa significhi mercanteggiare Manon soppesandone la figura in un intreccio coreografico pieno di leitmotiv che sarà poi ripreso e straziato nella scena del terzo atto con il carceriere.

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Commozione pura ha riservato al pubblico il terzo cast formato da Emanuela Montanari e Claudio Coviello. Una crescita nei ruoli di atto in atto fino al culmine del terzo: dall’arrivo in Louisiana alla morte nella palude, Montanari e Coviello danzano portando alle lacrime: personaggi compresi nel profondo e quindi resi con intelligenza e autenticità attraverso sfumature dinamico/espressive che fanno brillare la coreografia. Di getto ho scritto su Instagram a riguardo: Claudio Coviello, musicalità piena di racconto e commozione, ripresa da manuale (alla Dowell) della variazione sulla diagonale con accenti drammatici delle linee; Emanuela Montanari, corpo parlante che piega con verità il movimento nella sofferenza. 

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Un esempio: pensare a quelle arabesques intrecciate una dopo l’altra nel passo a due finale prima del lift, non va vista la bellezza dell’arabesque in sé ma la stanchezza di qualcuno che sta morendo e lo si vede nella testa che si abbandona, nel corpo distrutto che è visione dello spirito, non nell’altezza della gamba. E Montanari non sbaglia un accento. Così è anche l’attimo conclusivo della scena, con Manon morta, sdraiata a terra: si riveda Dowell per capire come la tragedia non è nel grido enfatico, ma nell’abbracciare chi si ama e non risponde più, in quel tenerle la mano. E qui ecco di nuovo un grande Coviello. Con la coppia ha lavorato come maitre Massimo Murru, il suo tocco è presente.

Stasera ultimo cast: Virna Toppi e Marco Agostino. Peccato non poterli vedere! Sono via. Se qualcuno è in Scala stasera, scriva qui un commento. 

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Foto courtesy Teatro alla Scala

4 thoughts on “Effetto Manon

  1. E’ stato davvero bello rivedere Manon in scena con tutta la sua evoluzione e le sue sfumature. Meravigliosa Montanari e poetico Coviello, e se posso dire anche il Lescaut di Walter Madau è stato di grande livello contribuendo al successo di uno spettacolo pressochè perfetto: ho visto sia lui che Christian Fagetti e, pur con due diversi approcci, sono stati due Lescaut eccezionali: in due parol,e Fagetti più cattivo, Madau più delinquente. L’imbarazzo della scelta, e, non dovendo scegliere, grandi entrambi. Fa bene vedere che alla Scala ci sono talenti del genere.

    • Grazie per la partecipazione a questo giro di commenti, Monica! Sì, hai ragione anche Madau è stato un ottimo Lescaut, molto puntuale nell’interpretazione. Diversissime, ma entrambi interessanti, nel ruolo dell’amante Martina Arduino (primo cast), artista di spessore che sarebbe stato bello vedere anche in Manon, e Antonella Albano, pungente e dispettosa al giusto. Un po’ più di ambiguità meriterebbe il Lescaut di Nicola Del Freo, tecnicamente però ineccepibile.
      Neanche tu sei riuscita a vedere Agostino e Toppi? Chissà chi c’era… Speriamo almeno in qualche clip…

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